Archivio
15/05/2017
h.21 Auditorium San Fedele
Stephan Keller
Prélude, Phoenix
per tabla e live electronics – prima esecuzione assoluta
Paolo Oreni
Organ Spring
Oren Ambarchi
Hubris
Ingegnere del suono: Filippo Berbenni
In collaborazione con il Consolato Generale di Svizzera a Milano e Fondazione Pro Helvetia
Una festa della musica con una triplice performance live chiude la stagione INNER_SPACES 2016-2017, il ciclo di musica elettronica e arte audiovisiva con performance dal vivo che coinvolge alcuni tra i principali esponenti della ricerca elettronica. La serata, realizzata in collaborazione con il Consolato generale di Svizzera a Milano e la Fondazione per la cultura Pro Helvetia, prevede tre interessanti esibizioni live: nella prima parte Stefan Keller ai tabla e Paolo Oreni all’organo mentre a chiusura della serata Oren Ambarchi presenta per la prima volta a Milano il suo lavoro Hubris recentemente uscito per la casa austriaca Mego.
Molto attesa la performance di Stefan Keller, compositore e polistrumentista svizzero, che presenterà ripresa e adattamento di una sua creazione sperimentale che si sviluppa dall’esecuzione al tabla, strumento a percussione indiano. A seguire il virtuoso Paolo Oreni realizzerà all’organo elettronico una suggestiva improvvisazione appositamente pensata per le dinamiche di spazializzazione offerte dall’Acusmonium Sator.
Con Hubris l’artista australiano Oren Ambarchi procede la sua ricerca sulla dinamiche ritmiche e l’intrecciarsi con le sonorità della chitarra elettrica.
Prima del concerto e durante l’intervallo, il Consolato generale di Svizzera, per festeggiare la chiusura della rassegna, offrirà a tutto il pubblico di Inner_spaces un rinfresco negli spazi di accesso dell’Auditorium.
Si ringrazia Plunge per la preziosa e costante collaborazione nello svolgersi della terza edizione della rassegna.
In chiusura del ciclo INNER_SPACES, una festa della musica con tre artisti invitati a San Fedele, lo svizzero Stefan Keller, residente a Berlino, l’organista Paolo Oreni e l’australiano Oren Ambarchi.
Si inizia con il compositore svizzero Stefan Keller che presenterà un ambizioso progetto iniziato nel 2010 e continuato quest’anno, su domanda di San Fedele Musica. Nella performance, lo stesso Stefan Keller suonerà i tabla, previsti nel suo nuovo lavoro compositivo, in un elaborato e sofisticato processo che utilizza il live electronics. Lo scopo è di arricchire, trasformare i suoni del tabla, aprire un dialogo fitto tra strumento ed elettronica e giungere infine a una forte e sintetica compenetrazione acustica in cui non si distinguerà più la fonte sonora originaria.
Segue un’inedita performance dell’organista Paolo Oreni in un’improvvisazione con un organo elettronico a più tastiere, nel tentativo di far dialogare modelli compositivi del minimalismo elettronico con la grande tradizione dell’improvvisazione organistica di scuola francese.
Infine, Oren Ambarchi presenterà il suo ultimo lavoro, Hubris, uscito per la casa austriaca Mego.
Con la sua nuova uscita, Hubris, Oren Ambarchi continua l’esplorazione ritmica intrapresa negli ultimi suoi lavori: Sagittarian Domain (2012) e Quixotism (2014). Il lungo brano iniziale di Hubris, sembra ispirarsi all’atmosfera della musica disco e new wave, con un riferimento particolare alla colonna sonora di Wang Chung per il film di William Friedkin “Live and Die in LA”. Partendo da questi riferimenti, Ambarchi intreccia una densa rete ritmica con pulsazioni stratificate di chitarre con suono smorzato. Le singole voci emergono, crescono e si ritirano, talvolta lasciando spazio a qualche trama di synth chitarra di Jim O’Rourke. Il collaboratore di Arnold Dreyblatt, Konrad Sprenger, contribuisce ad arricchire la ricca e movimentata chitarra, spingendo il brano verso un bivio equilibrato tra un minimalismo scintillante e un’unità ritmica che si sviluppa senza intoppi fino all’entrata della percussione elettronica di Mark Fell nella sezione finale.
Dopo una breve seconda parte, in cui Ambarchi, O’Rourke e Crys Cole rendono omaggio alla dimensione armonica di Albert Marcoeur con una traccia costruita con figure di chitarra bassa in un discorso astratto, il lungo pezzo finale riprende e spinge la tematica del primo brano in regioni più oscure e dense. Con l’aggiunta dei ritmi elettronici di Ricardo Villalobos e dei tamburi di Joe Talia e Will Guthrie, le chitarre stratificate del primo brano vengono trasformate in una aspro e precipitato groove di fusion-funk che richiama le sonorità dei Weather Report. Mentre questa sezione di ritmi siderici fa scorrere un unico accordo ripetuto fino all’oblio, una serie di eventi sonori a sorpresa emergono e prendono il sopravvento: in primo luogo, le turbolenze aleatorie dei sintetizzatori di Keith Fullerton Whitman, poi lo slashing skronk della chitarra di Arto Lindsay fino agli armonici fuzzed-out della chitarra di Ambarchi, che conducono a una frenesia estatica. Pochi artisti potrebbero sperare di includere una così incredibile varietà di collaboratori nello stesso CD e al tempo stesso sperare di raggiungere un’unica identità, ma Ambarchi riesce a fare proprio questo, elaborando tre pezzi che emergono direttamente dal suo lavoro precedente, mentre spingono perfino avanti verso nuove dimensioni.